Fisica Quantistica – 2

TEORIA QUANTISTICA e sue IMPLICAZIONI
(Il materiale per il presente paragrafo è stato tratto dagli appunti del corso “Fondamenti concettuali ed implicazioni epistemologiche della Teoria Quantistica” del prof. Tiziano Cantalupi.
Potete approfondire l’argomento consultando le pagine del Global View Project)

Se trovate difficile affrontare la lettura di questa pagina provate a vedere un esempio tratto dalla vita di tutti i giorni di come possa essere controintuitiva la realtà se osservata con attenzione: un esperimento paranormale che in realtà è normalissimo.

Vediamo di chiarire l’argomentazione del paradosso EPR.
Definiamo cos’è una coppia di fotoni correlati: una coppia di paricelle si dicono correlate se hanno caratteristiche simmetriche (cioè opposte o concordi). Ad esempio stesso asse di polarizzazione, stesso spin o spin opposto, quantità di moto uguale o opposta ecc. Alcuni sistemi fisici sono in grado di produrre coppie di fotoni correlati, ad esempio atomi di calcio eccitati dalla luce laser oppure il decadimento del mesone  (il pione).

Il paradosso EPR prende le mosse da una misura effettuata su una coppia di fotoni correlati. Si ponga al centro dell’apparato di misura una sorgente di fotoni correlati. Il settore A e il settore B sono separati da una distanza enorme su scala atomica (14 metri, praticamente infinito per quel che riguarda le interazioni tra particelle). Compiamo una misura sul fotone del settore A determinando le caratteristiche (in particolare la polarizzazione). Le leggi della Meccanica Quantistica ci dicono che istantaneamente conosciamo lo stato anche del fotone nel settore B. Questo per EPR è assurdo, in quanto viola il principio di località, dice infatti Einstein:
“Riconosco naturalmente che nella interpretazione statistica … vi è un notevole contento di verità. Ma non posso credere seriamente in essa, perchè la teoria che ne deriva è incompatibile con il principio che la fisica debba essere una rappresentazione di una realtà nel tempo e nello spazio, senza assurdi effetti a distanza”.

Le obiezioni di Einstein e compagni si basano su due principi che egli ritiene incrollabilmente certi:
il realismo
il localismo

Il “Teorema o diseguaglianza di Bell” può riassumersi dicendo che qualsiasi teoria locale, che assume che determinate coppie di particelle correlate separate ed inviate verso rivelatori lontani abbiano proprietà definite anche prima di essere sottoposte a test, non può riprodurre la distribuzione probabilistica prevista dalla meccanica quantistica  allorché si considerino non solo misure “simmetriche/opposte” ma anche test su posizioni intermedie.

Si immagini un gas che emette luce quando viene eccitato elettricamente.  Gli atomi eccitati di detto gas emettono fotoni a “coppie correlate”.  I fotoni di ciascuna coppia si dirigono in direzioni opposte.  A parte la diversità di direzione del loro moto, i fotoni di ciascuna coppia sono “gemelli identici”.  Se uno di essi è polarizzato verticalmente, lo è anche l’altro.
Lo stesso se uno è polarizzato orizzontalmente.  Indipendentemente dall’angolo di polarizzazione, entrambi i fotoni di ogni coppia sono polarizzati sullo stesso piano. Se quindi si conosce lo stato di polarizzazione di una delle particelle, automaticamente si può conoscere anche quello dell’altra.
E’ possibile verificare che entrambi i fotoni di ciascuna coppia sono polarizzati allo stesso modo facendoli passare attraverso dei polarizzatori (vedere la figura seguente).

Una sorgente di luce al centro della figura emette una coppia di fotoni correlati.  Su ciascun lato di essa viene posto un polarizzatore sul percorso dei fotoni emessi.  Dietro i polarizzatori vi sono dei Rivelatori di luce che emettono un Click ogni volta che un fotone li colpisce. Ogni volta che il Rivelatore del Settore A emette un Click, lo emette anche quello del Settore B. Ciò perché entrambi i fotoni della coppia sono polarizzati sullo steso piano, ed entrambi i polarizzatori sono allineati nella stessa direzione (Verticale).
Perciò quando i polarizzatori sono uguali i Rivelatori  faranno Click un uguale numero di volte.   I Click del Settore A sono correlati ai Click del Settore B.

Si supponga ora di orientare uno dei polarizzatori a 90° rispetto all’altro (vedere la figura seguente).


Il polarizzatore del Settore A è ancora allineato verticalmente, ma quello del Settore B è allineato orizzontalmente.
Quindi il fotone orientato verticalmente passerà attraverso il polarizzatore verticale ma verrà respinto dal polarizzatore orizzontale. Quando i polarizzatori sono orientati ad angolo retto uno rispetto all’altro, un Click di un determinato Settore non sarà mai accompagnato da un Click del Settore opposto. Nuovamente, i Click dei due Settori sono correlati.

Questa è una classica “situazione EPR”, anche se migliorata dal punto di vista della completezza delle misurazioni in quanto si eseguono due misure (agli estremi dell’apparecchiatura) e non una sola, come invece facevano EPR.  Bell andò comunque oltre la duplicità delle misure, chiedendosi cosa sarebbe accaduto se nei due rami dell’apparecchiatura fossero stati posti non dei polarizzatori orientati perpendicolarmente, ma dei polarizzatori orientati nelle direzioni intermedie.
Supponiamo che  nel Settore A della nostra apparecchiatura venga posto un polarizzatore verticale e nel Settore B un polarizzatore orientato a 45°.
Un fotone che si trova al momento dell’emissione in uno stato ben definito, ad esempio verticale, attraverserà con probabilità uguale al 100 % il polarizzatore del Settore A, mentre con probabilità uguale al 50 % il polarizzatore del Settore B (queste sono semplici regole di Ottica).
Bell ebbe la grande intuizione di riconoscere che questo “caso intermedio” poteva fornire importanti indicazioni.
Nella situazione sperimentale appena descritta infatti, la misurazione dello stato del fotone del Settore A  non  ci  dice più con certezza (non valgono più perciò le congetture avanzate da EPR) quale sarà il risultato della misurazione effettuata  nel Settore B. Passiamo ora ad una applicazione che definiremo “neutra” (cioè indipendente sia dalle posizioni del realismo locale che della meccanica quantistica) del “Teorema di Bell”.
Esamineremo le conseguenze che detto teorema può avere dal punto di vista della “realtà oggettiva scaturita da una serie ipotetica di osservazioni”.   In questa situazione l’unico punto fermo che si manterrà è che le particelle correlate dovranno reagire allo stesso modo ai medesimi test di polarizzazione.
Nell’apparecchiatura di seguito riprodotta possiamo scegliere di misurare (simultaneamente o almeno in modo che nessuna influenza che si muova alla velocità della luce possa passare da una misurazione all’altra) la polarizzazione delle coppie di fotoni correlati rispettivamente in una delle tre componenti di polarizzazione Orizzontale, Diagonale a 60°,  Diagonale a 120° per ogni  Settore.

Cosa ci dice il dato sperimentale ?

Se consideriamo la statistica globale di un gran numero di test, ipotizzando tutte le possibili combinazioni di polarizzatori e di “emissioni fotoniche”  (mantenendo però il presupposto che le coppie di fotoni correlati reagiscono sempre allo stesso modo al medesimo test di polarizzazione) e andiamo a vedere quante volte si ottengono risposte Concordi, risulta che si è avuto un accordo  nella metà dei casi.

Di seguito vediamo alcuni esempi. (C = esito concorde, D = esito discorde)
(per esigenze di brevità la tabella contempla solo i casi in cui il polarizzatore nel settore A sia posto a 0°)

(Tabella)

Settore A Settore B Emissione Esito A (*) Esito B (*) Conteggio
+1 +1 C
60° -1 -1 C
120° -1 -1 C
60° +1 -1 D
60° -1 +1 D
120° -1 -1 C
120° +1 -1 D
60° -1 -1 C
120° -1 +1 D

(*) Nell’ambito degli esperimenti del tipo “diseguaglianza di Bell”, se un fotone di un determinato Settore supera il test di polarizzazione (ovvero attraversa il polarizzatore), ad esso viene assegnato il valore +1, se il fotone invece non supera il test di polarizzazione ad esso viene assegnato -1.

Cosa prevede la nostra analisi del fenomeno ?
Proviamo a tirare le somme di quello che, secondo il nostro schema (a questo livello ancora localistico, realistico e quindi classico) dovrebbe essere il risultato sperimentale:
Totale esito conteggi: 5 casi C (concordi) e 4 casi D (discordi)
Questo fatto consente di desumere dal Teorema di  Bell che, a prescindere dalla meccanica quantistica, il realismo locale non si concilia con  la “realtà oggettiva delle osservazioni”.

Vediamo nel dettaglio perché.
Le possibili combinazioni di test di polarizzazione cui può essere sottoposta una coppia di fotoni correlati nel caso in cui si abbiano a disposizione tre tipi di polarizzatori sono  9:

Settore A Settore B
60°
120°
60°
60° 60°
60° 120°
120°
120° 60°
120° 120°

Chiediamoci quante volte i risultati dei test risulteranno Concordi e quante volte Discordi nel caso in cui si ipotizzi che la coppia di fotoni correlati possieda, sin dal momento dell’emissione, “l’elemento di realtà (vedi  EPR ) corrispondente alla polarizzazione Orizzontale”.

Settore A Settore B Test Esito
+1 +1 C
60° +1 -1 D
120° +1 -1 D
60° -1 +1 D
60° 60° -1 -1 C
60° 120° -1 -1 C
120° -1 +1 D
120° 60° -1 -1 C
120° 120° -1 -1 C

Come vediamo dalla tabella, su  9 possibilità, si hanno 5 risposte Concordi  e  4  Discordi. Il fatto che il rapporto tra risposte Concordi e Discordi sia  5  a  4  non dipende assolutamente dalla scelta iniziale fatta per il tipo di polarizzazione assegnata alla coppia di fotoni correlati. Qualsiasi tipo di polarizzazione assegnata darebbe il risultato 5 a 4.
Possiamo quindi concludere che assumendo per vero il realismo locale, avremo sempre almeno una prevalenza (5 a 4) di risposte Concordi rispetto alle risposte Discordi.

Questi risultati dimostrano che, a prescindere dalla meccanica quantistica, “la realtà oggettiva delle osservazioni” non si concilia con il realismo locale. (In altre parole  la realtà oggettiva non si concilia con l’idea di realtà oggettiva)

A tal proposito così si esprime in “Quantum Mechanics” (The University of Chicago Press, Chicago, 1994) James T. Cushing :
“Bell non ha mai elaborato alcuna teoria locale e deterministica.  Ma, senza mai entrare nei dettagli dinamici, egli ha dimostrato che, in linea di principio, nessuna teoria siffatta può esistere […] Il teorema di Bell non dipende in alcun modo dalla meccanica quantistica.  Esso rigetta un’intera categoria di teorie (essenzialmente) classiche senza neppur dover menzionare la meccanica quantistica.  E accade che i risultati sperimentali non solo escludono l’intera classe delle teorie locali e deterministiche, ma anche che confermano le previsioni della meccanica quantistica.  Abner Shimony ha appropriatamente denominato “metafisica sperimentale” questo tipo di radicale soluzione empirica a quello che sembra essere un problema metafisico.”

E ancora il fisico David Lindley scrive :
“Quand’anche non ci piacesse la Meccanica Quantistica,  quand’anche pensassimo che qualche altra teoria potrebbe infine venire a soppiantarla, non potremmo però tornare alla vecchia visione della realtà.
Essa semplicemente non funziona:  questa è la vera importanza, è il vero messaggio del teorema di Bell.”

Analizziamo ora gli esiti che, per situazioni come quelle sino ad ora considerate, prevede la meccanica quantistica.
Per semplicità ipotizzeremo che le misure nel Settore A vengano eseguite un istante prima di quelle del Settore B.
Immaginiamo che nel Settore A venga montato un filtro orizzontale ed il fotone della nostra coppia correlata lo attraversi (si ottiene quindi la risposta +1).
Ne consegue che secondo la forma dello stato quantico e in accordo col  postulato della  riduzione della   funzione   d’onda,  anche il fotone del Settore B risulterà polarizzato orizzontalmente.
Chiediamoci adesso quale probabilità ha un fotone polarizzato orizzontalmente di superare un test di polarizzazione (intermedia) a 60° o a 120°.   La risposta è  1/4, infatti la probabilità è data dal quadrato del coseno di  60° o 120°.

Continuiamo nella nostra analisi supponendo che il fotone del Settore A non superi il  test  di  polarizzazione orizzontale (risposta -1), risultando quindi, secondo la forma dello stato quantico e in accordo col postulato della riduzione della  funzione d’onda (…), polarizzato verticalmente.  Anche il fotone del Settore B risulterà polarizzato verticalmente e, poiché siamo interessati  alle risposte Concordi, dobbiamo chiederci che probabilità ha un fotone polarizzato verticalmente di non superare un test a 60° o a 120°.
La probabilità risulta essere ancora una volta 1/4  (la probabilità è data dal quadrato del seno di 60° o 120°).

L’argomento ora sviluppato risulta (per la simmetria del problema) completamente indipendente dalla scelta fatta per la direzione dell’orientazione dei polarizzatori dei Settori A e B, purché esse risultino “diverse”.  Ed allora calcoliamo, secondo la meccanica quantistica, la probabilità che considerando le diverse coppie di orientazioni, le risposte nei Settori A e B risultino Concordi.

Settore A Settore B Probabilità di esito concorde
 1
60°  1/4
120°  1/4
60° 1/4
60° 60°  1
60° 120°  1/4
120°  1/4
120° 60°  1/4
120° 120°  1

In 1/3  dei nove possibili casi nei Settori A e  B si eseguiranno misure identiche, ottenendo risultati identici.
Nei rimanenti  2/3 dei casi nei Settori A e B si eseguiranno misure diverse, per le quali, come abbiamo visto, si ha un probabilità di 1/4 di ottenere esiti Concordi.

Possiamo ora calcolare la probabilità globale di esiti Concordi.  Essa risulterà uguale alla probabilità (1/3) che le misure avvengano nella stessa direzione, cui va sommata la probabilità  (2/3) che le misure avvengano in direzioni diverse  moltiplicata per la probabilità (1/4) che gli esiti risultino Concordi.     Si avrà pertanto :
Probabilità globale di esiti Concordi:  1/3 + (2/3 * 1/4)  = 1/3 + 1/6  =  1/2

Quindi la meccanica quantistica prevede una probabilità di risposte Concordi e Discordi nel rapporto di  1/2  a  1/2 (la stessa dall’analisi della realtà oggettiva delle osservazioni).
E’ dal confronto dei rapporti tra risposte Concordi e Discordi che,  secondo Bell, emerge l’incompatibilità  tra  realismo locale  (rapporto 5 a 4) e meccanica  quantistica  (rapporto  1/2  a  1/2)

GLI  ESPERIMENTI  di  ALAIN  ASPECT
Nel 1982  ALAIN ASPECT (e collaboratori) dell’Università di Parigi, raccolse la sfida per una rigorosa  verifica della diseguaglianza di Bell.
Il risultato dell’interazione di coppie di fotoni correlati con rivelatori lontani a, b, c, d (e con l’accorgimento  dell’inserimento di un Cristallo Birifrangente), fluttuava in modo apparentemente casuale, ma quando venivano messi insieme i gruppi di misure, essi manifestavano un “accordo” in linea con le previsioni della meccanica quantistica.

Schema  semplificato dell’apparecchiatura usata da Alain Aspect e collaboratori per la verifica della “diseguaglianza di Bell”.

N.B. Se lungo la traiettoria di un fotone polarizzato a 45° viene posto un Cristallo Birifrangente il fotone ha la PROBABILITA’ uguale ad  1/2 di continuare per la sua strada  oppure deviare.

In pratica nell’esperimento illustrato in figura l’inserimento o meno del Cristallo Birifrangente se comporta notevoli conseguenze per il Realismo Locale, non comporta alcuna conseguenza per la meccanica quantistica.
L’inserimento del Cristallo Birifrangente infatti, se va ad alterare il rapporto (5 a 4) tra risposte Concordi e Discordi secondo il realismo locale, per la meccanica quantistica – dato che per essa i “destini” delle particelle dei Settori A e B sono sempre costantemente legati –  l’inserimento (o meno) del Cristallo Birifrangente non produce variazioni.
Sostanzialmente Aspect con la sua apparecchiatura verifica, nella pratica, il “legame” che unisce indissolubilmente, e “in tempo reale”, i fotoni delle coppie correlate …   Allorquando infatti, il fotone del Settore A devia in seguito all’attraversamento del Cristallo Birifrangente verso il rivelatore c,   ISTANTANEAMENTE  anche il fotone del Settore B “devia” verso il rivelatore  in d!
La sfida tra EPR e Bohr (resa possibile dai lavori di Bell e Aspect) finiva così a favore del fisico danese.
La  Natura  nelle  sue  manifestazioni  è  realmente  NON   LOCALISTICA.
vedi: Entaglement
Per le sue dirompenti conseguenze, il non-localismo rappresenta (a giudizio unanime di fisici ed epistemologi) una delle tappe più sconvolgenti e per certi versi imbarazzanti nell’intera storia della scienza.
Tratto da: http://xoomer.virgilio.it/paaccom/

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La realtà fisica come un tutto indivisibile
Negli anni cinquanta del Novecento il fisico David Bohm propose un’affascinante interpretazione olistica della meccanica quantistica, che faceva da contraltare alla visione ortodossa, la cosiddetta Interpretazione di Copenhagen.
Basil Hiley, assistente e collaboratore di Bohm, racconta perché non si può fare a meno di confrontarsi con questa teoria.
Una notte del 1952 – come racconta Louisa Gilder nel suo brillante volume sulla storia della meccanica quantistica – Richard Feynman e David Bohm stavano girando per i bar di Belo Horizonte, in Brasile. Feynman era a Rio per un anno sabbatico e, esuberante come sempre, commentava entusiasta le birre locali, le lezioni di batteria che stava prendendo e le ragazze brasiliane.
Bohm, che insegnava all’Università di San Paolo, invece non si adattò mai al Brasile.
La caccia alle streghe maccartista l’aveva appena buttato fuori dalla Princeton University e dagli Stati Uniti. Si sentiva in esilio non solo dal suo paese, ma dalla fisica che contava. Bohm si rianimò solo quando Feynman espresse interesse per il suo originale modo di concepire la meccanica quantistica.
Bohm aveva sviluppato la prima alternativa globale alla “ortodossia” quantistica, nota come Interpretazione di Copenaghen. Basandosi sul precedente lavoro di Einstein e de Broglie, Bohm aveva dimostrato che non è necessario concepire la casualità quantistica come intrinseca alla natura per compiere una riflessione sul nostro modo indagare il mondo microscopico.
Nella formulazione originaria di Bohm, le particelle hanno sempre posizioni ben definite e sono spinte da un “potenziale quantistico”, simile, nelle sue linee generali, alle forze elettriche e gravitazionali. Poiché questo potenziale opera istantaneamente, collegando tra loro tutti gli elementi dell’universo, anche quando sono a grande distanza, Bohm arrivò poi a concepire la fisica quantistica come un’apparizione fenomenica superficiale di una realtà olistica più profonda.
David Bohm, 1917-1992 (Wikimedia Commons)

I fisici tendono a non gradire la teoria di Bohm, per ragioni sia sociologiche sia scientifiche, ma per lo meno essa ruppe l’incantesimo di Copenhagen. Léon Rosenfeld, partigiano particolarmente pugnace dell’interpretazione di Copenhagen, lo attaccò e tramò nell’ombra perché le riviste rifiutassero i suoi lavori, come se cercasse di completare l’opera iniziata dai maccartisti.
Eppure fu il lavoro di Bohm a spingere il fisico irlandese John Bell a rivoluzionare il modo di pensare alla fisica quantistica negli anni sessanta.
Qualche settimana fa, ho incontrato Basil Hiley, a lungo collaboratore di Bohm e co-autore del suo ultimo libro, The Undivided Universe. Hiley è un fisico teorico del Birkbeck College dell’Università di Londra, dove Bohm finì quando non riuscì più a sopportare il cibo brasiliano. Come il suo defunto maestro, ha un modo non convenzionale di pensare la fisica, al punto che sinceramente non sono riuscito a capire molto di ciò che mi ha detto. In questo scritto, mi sono preso la libertà di spostare interi blocchi di testo, omettendo i passaggi matematici più tecnici, per cercare di dare un senso complessivo al tutto. Se ho risvegliato il vostro interesse, un buon punto di partenza è la pagina di Wikipedia su Hiley. Se non altro, la teoria di Bohm è un buon argomento per fare due chiacchiere con una birra in mano.

GM: Quando incontrò David e come iniziò la vostra collaborazione ?

BH: Stavo finendo il mio dottorato di ricerca, che aveva come argomento la fisica dello stato solido. Avevo un paio di articoli pubblicati ma non avevo ancora finito la tesi e mi è stato guardando in giro, chiedendomi che cosa avrei fatto alla fine dell’estate.
Non conoscevo David Bohm, non avevo letto i suoi lavori. In quel momento, stava tenendo due seminari e quando lo sentii parlare pensai: “Wow, questo è quello che avrei voluto studiare all’università”.

Sono sempre stato molto interessato alla meccanica quantistica e alla relatività, anche ai tempi della scuola. Arrivato all’università, speravo che sarei stato in grado di discutere quelle idee. Ma mi sentivo dire: “Non devi perdere tempo a pensare a queste cose”.
Era una situazione veramente molto frustrante. Dopo la laurea, organizzai alcuni seminari informali tra studenti post-laurea, e mi convocarono per chiedermi che cosa stessi facendo. Una cosa pazzesca.

E poi arrivò David, con tutte le sue interessanti idee, a sostenere che la meccanica quantistica era un buon vino che stavamo mettendo in vecchie bottiglie. L’idea era di fare nuove bottiglie, in modo che il vino desse il suo meglio. Ma non è affatto facile riflettere profondamente sulla natura della realtà.

GM: Che cosa facevi in quel periodo ?

BH: Quando diventai suo assistente al Dipartimento di matematica c’era Roger Penrose e poi c’eravamo io e Bohm. Studiavamo le algebre, la relatività generale, il pre-spazio. Quest’ultimo è un concetto simile a quello di pre-geometria, ma David e io non volevamo dare l’impressione che stessimo pensando allo stesso modo di John Wheeler.

Penrose formulò la teoria dei twistor (o dei torsori) e delle reti di spin. Entrambi risolvevano il problema di come costruire lo spazio-tempo a partire da oggetti fisici. Ha avuto alcune idee belle con i twistor. Voleva concepire uno spazio in cui non c’erano punti: il fondamento era costituito dai raggi di luce, mentre i punti erano definiti come le intersezioni dei raggi di luce.

Il mio contributo ai twistor si limitò al nome… Penrose una volta venne nel mio studio, parlando della sua idea. “Sono indeciso se chiamarli twister o twistor”, disse. E io risposi: “Twistor”.

GM: “Twister” è un nome da gioco di società, “twistor” dà l’idea di un concetto complesso

BH: [ Ride] In ogni caso, questo mi iniziò allo studio delle diverse algebre. Io venivo dalla fisica dello stato solido, e avevo lavorato molto sui reticoli. Lo spazio-tempo non potrebbe essere strutturato come un reticolo, a una scala molto piccola ?
Considerate le dislocazioni a spigolo distribuite in un cristallo: si tratta di una geometria riemanniana. Così feci un sacco di queste cose, studiando la possibilità che lo spazio possa avere una struttura discreta (una dislocazione a spigolo è un difetto all’interno di un reticolo in cui uno strato di atomi aggiuntivo, introdotto nel cristallo, deforma gli strati vicini, NdT).

GM: Quindi, per i primi 10 anni, cioè per tutti gli anni sessanta, non ha nemmeno sfiorato un’onda pilota… (l’idea su cui si basa l’interpretazione della meccanica quantistica di Bohm, NdT)

BH: Avrei potuto occuparmene ma non lo feci, semplicemente perché non avevo letto l’articolo di Bohm !
E se mi chiedevano perché, rispondevo: “Perché non l’ho letto ? Perché è sbagliato”. Avevo assorbito il pregiudizio che la teoria delle variabili nascoste era spazzatura (la teoria delle variabili nascoste sostiene che la meccanica quantistica offre una descrizione incompleta della realtà, NdT). Non solo: avevo la strana sensazione che se avessi letto l’articolo ne sarei rimasto in qualche modo infettato.
Ora, guardando indietro, posso dire che era straordinario. Quando finalmente lo lessi, rimasi stupito, perché utilizzava solo matematica standard. Tirava fuori il concetto di potenziale quantistico e di traiettorie. Allora dissi a uno studente, “Proviamo a calcolare le traiettorie”. Ed è così che Chris Philippidis e Chris Dewdney iniziarono il loro lavoro, calcolando i potenziali quantistici per il problema delle due fenditure e per la particella in una buca di potenziale (due situazioni esemplari che solo la meccanica quantistica riesce a trattare correttamente, NdT). Ed è così che la teoria ha iniziato a crescere. Quando la mostravamo ad altri, ci dicevano: “Sì ok, ma non si può fare così e così”. Ce ne andavamo e cercavamo un metodo per fare così e così. Tornavamo a confrontarci e ci dicevano: “Ma non si può fare…” Tutto quello che ho fatto per anni è stato chiedere a questi ragazzi di svolgere i calcoli per dimostrare che potevamo fare tutte quelle cose.

Pertanto, il mio problema era: cosa c’è che non va ? Funziona. Se le particelle seguono effettivamente traiettorie o no, non lo so.
Ma ci sono le formule, basta applicarle.

GM: E queste hanno iniziato a interessare David ?

BH: Sì, David riprese a interessarsi alla cosa. Abbandonammo gli aspetti più speculativi ed esoterici, come il pre-spazio, che rimase sullo sfondo. Ma poi vi siamo arrivati sempre più vicini. David era molto eccitato; quando mostrammo le traiettorie, disse “Oh, possiamo ricavarle dalla teoria ?”

Dal mio punto di vista, e anche da quello di David, questo era solo una sorta di comportamento medio, frutto di un processo più profondo sottostante. Ed è quello che cercavamo di capire. Ma non siamo andati molto lontano, temo. Sai, è una cosa difficile. Abbiamo messo alla prova un sacco di idee diverse, e nessuna sembra davvero funzionare. Manca ancora qualcosa.

GM: Parlami delle idee che avete elaborato.

BH: Eravamo interessati a un concetto di “tutto indiviso”. Come si fa a descrivere l’interezza senza romperla in pezzi ?
Bohr diceva che non è possibile procedere oltre con l’analisi: non si può fare una distinzione tra il soggetto e l’apparato di osservazione, perché formano un tutt’uno, e appena si divide in pezzi hai fallito, perché hai influenzato il fenomeno.
Ho fatto mie un sacco di idee profonde di Bohr. Chi legge il nostro libro, vede che non diciamo mai che Bohr sbagliava, considerando che molti altri dicono che l’interpretazione di Copenhagen è una sciocchezza. Il punto su cui eravamo in disaccordo con Bohr è che l’analisi non possa procedere oltre, e per questo siamo andati avanti.

La nostra idea era dire: “Si può fare”. Si può parlare dei singoli elementi, ma è il potenziale quantistico che mette in primo piano ciò che era stato lasciato fuori, perché contiene l’informazione sulle condizioni ambientali, le condizioni al contorno, e la immette in questa entità locale, che così è parte del tutto.

Come questo avviene, non è dato saperlo. Ma ciò che David e io abbiamo ipotizzato è che il potenziale quantistico sia in realtà un potenziale d’informazione, e per questo abbiamo introdotto il concetto di “informazione attiva”. Ero molto preoccupato per l’uso della parola “informazione” perché chiunque avrebbe pensato immediatamente all’informazione di Shannon (Claude Shannon è uno dei padri della moderna teoria dell’informazione, che definisce le basi teoriche dell’informatica, NdT).

L’informazione di Shannon non è informazione, è solo capacità di informazione, separata dal significato. Il punto cruciale è stato quello d’introdurre un significato, ciò che per la particella è l’informazione.

Poi, naturalmente, tutti pensarono che ci fossimo dati al misticismo. Ma ciò che voglio ribadire è che il potenziale quantistico non è una forza classica. Non è un potenziale classico. È qualcosa di straordinario, di molto strano. Non viene propagato, per quanto possiamo sapere. Ma quello era il mio modo di riconciliare interezza e divisibilità. Se dividiamo, dobbiamo avere qualcosa per mettere tutto di nuovo insieme.

Bohm coltivò a lungo l’amicizia con il filosofo e guru indiano Juddu Krishnamurti, ma il rapporto si concluse bruscamente per questioni private (© Krishnamurti Foundation Trust Ltd)

GM: Suona ironico che Bohr e alcuni suoi colleghi reagissero con veemenza contro la teoria di Bohm.

BH: Sì, ma non dimentichiamo che se si guarda alla teoria di Bohm nella sua forma più semplice, non si vede nulla di tutto questo. Ora ti sto parlando della teoria di Bohm alla luce di questi concetti più profondi. A lezione, avevo l’abitudine di spiegare la teoria di Bohm, perché non si può ignorare, che piaccia o no. Ma poi la gente credeva che ciò rispecchiasse il mio concetto della natura.
E non è ciò che spingeva David e me a continuare le ricerche. Si tratta di livelli di astrazione diversi.

Concludendo, io non sono un seguace di Bohm, nel senso che non sostengo la meccanica di Bohm. Chris Fuchs una volta venne da me dopo una conferenza e mi disse: “E’ bello conoscere un bohmiano”. “Prego ?”, risposi. “Io non sono bohmiano: non stiamo parlando di meccanica. Nel suo libro sulla teoria quantistica, quello originale, Bohm dice che meccanica quantistica è un termine improprio. Si dovrebbe parlare invece di non-meccanica quantistica”.

GM: Nel senso che non si dovrebbe pensare in termini di un moto meccanicistico delle particelle ?

BH: Sì, non è niente di simile. Non si tratta di meccanicismo, ma di organicismo. La natura è più organica di quanto pensiamo.
Solo allora si può capire perché la vita ha avuto origine: solo se la natura è organica, in essa vi è la possibilità di una vita.

Seguimi in questo ragionamento. Stiamo cercando una particella fondamentale. Così dividiamo la materia in atomi, e pensiamo: ecco dove si trova la vera essenza della natura. Rutherford spaccò l’atomo e trovò il nucleo. OK. Il nucleo è dove risiede la materia.
Poi si guarda all’interno del nucleo e si trovano i neutroni. OK, ora ci siamo ! Ma poi troviamo i quark, ma i quark non si lasciano afferrare. Prendiamo un protone, un anti-protone, li facciamo collidere e… puf ! Compare la radiazione. Allora, dove è la solidità della materia? Dove si trova ? Perché comunque cerchiamo di afferrarla…

GM: …ci sfugge tra le dita.

BH: OK, supponiamo di iniziare con qualcosa di diverso dalle particelle, parliamo di processi, solo attività, solo energia.
Allora la prima obiezione è: “Ma che cosa diavolo intendi ?” Se leggi Grassmann, per esempio, lui diceva che la matematica non riguarda cose nello spazio e nel tempo, ma il pensiero, l’ordine del pensiero. E ha ottenuto l’algebra che porta il suo nome da questo tipo di considerazioni. Io ho letto i libri e gli articoli originali di Clifford, ed è tutto basato sui processi. Due per tre fa sei, e non vuol dire “due volte tre oggetti”, ma si tratta del raddoppio di tre oggetti. Ecco un processo.

Basil Hiley nel corso di un’intervista con Taher Gozel (da YouTube)

GM: Come entra questo nella meccanica quantistica ?

BH: Tramite la non-commutatività. Anche nella vita quotidiana, dobbiamo sempre stare attenti all’ordine. Hai una tazza nell’armadio. Devi aprire la porta dell’armadio prima di tirare fuori la tazza. Tutta la nostra esperienza consiste nel fare le cose nel giusto ordine: per questo, tutta la nostra attività è non-commutativa. Cercando di spiegare i livelli energetici degli atomi, Heisenberg ha scoperto che aveva a che fare con oggetti che non commutano tra loro. L’ordine è di vitale importanza: c’è una differenza tra misurare prima la quantità di moto e quindi la posizione, oppure prima la posizione e poi la quantità di moto. Questa è la base del suo principio d’indeterminazione.

La mia impressione è che lui stesse in realtà discutendo un processo. Parlava di come una cosa potesse essere trasmessa da un corpo all’altro, introducendo il concetto di transizione della quantità di moto, e di spostamento da una posizione all’altra.

In altre parole, non si parla di x e p, p e x, ma di passaggi da x0 a x1, da p1 a p2, e così via. La sua scoperta essenziale è il “gruppoide”, un concetto ancora utilizzato nella teoria delle categorie. E serve per parlare in termini di processi.

GM: Che cosa c’entra tutto questo con la teoria della relatività ?

BH: Pensiamo all’idea che lo spazio e il tempo vengono creati. Qualcuno obietta: “Beh, che cosa intendi dicendo che stiamo creando lo spazio e il tempo ? Il mondo è intorno a noi, non c’è una geometria che in qualche modo scopriamo semplicemente guardandola. In realtà, utilizziamo processi fisici per descrivere questa geometria. Come otteniamo la geometria dello spazio ?
Con un apparato radar e un orologio. Trasmettiamo un segnale luminoso, lo facciamo tornare indietro, e costruiamo la trasformazione di Lorentz sulla base di ciò che sta succedendo.

La maggior parte delle persone dice che non si può conciliare la relatività con la teoria di Bohm. Questo non è corretto. Quattro anni fa, sono riuscito a conciliare l’equazione di Dirac e la teoria di Bohm. La chiave è l’utilizzo dell’algebra di Clifford.

GM: Ma non è strano che la natura possa essere fatta in modo da poterne astrarre un concetto di spazio ? Sembra che sia implicito un ordine di grado elevato…

BH: Sì, è come ipotizzare che la natura sia ordinata.

GM: Sono sempre stato perplesso di fronte all’uso dei termini “ordine implicito” “ordine esplicito”: potresti andare oltre ?

BH: Perché dovremmo aspettarci che i fondamenti della natura sono gli stessi che sperimentiamo nel mondo macroscopico ? Questo è per dire, no, il mondo reale non è. Se si guarda al fondo, ci si accorge che si tratta di un miraggio, in un certo senso. L’ordine implicito, la struttura profonda, è l’algebra. Le proprietà sono date in un tutto, ma le stiamo tirando fuori, evidenziando l’ordine esplicito.

L’illusione ottica citata da Hiley

GM: Quindi ciò che percepiamo è l’ordine esplicitato ?

BH: Sì, è ciò che percepiamo. E non è tutto. Cio’ che la vecchia fisica classica dice è che vogliamo “stare fuori”, e guardare ogni cosa, come Dio, come se non fossimo lì. Ma non possiamo. Siamo lì, che ci piaccia o meno. Siamo dentro guardando fuori, non fuori guardando dentro. Ciò che è implicito non si può spiegare, ma è necessario avere diversi punti di vista, proprio perché siamo “dentro”. Non si può stare al di fuori, si può avere solo una visione parziale.

Quando tengo una conferenza su questo argomento, uso sempre quella classica illusione in cui si può vedere sia una elegante signorina sia una donna anziana.
Le linee del disegno sono sempre le stesse, ma il loro significato dipende da come viene esplicitato un ordine rispetto all’altro. Perché un sacco di cose si basano su cose che non si possono spiegare nello stesso momento.
La natura è tale che non si può effettivamente esplicitare posizione e quantità di moto allo stesso tempo.

Così invece di avere solo una traiettoria, si ha un processo che si sviluppa e si avviluppa.

Il passato lavora attivamente nel presente. Si riverbera nel presente per produrre il futuro. Ciò che appare come una particella che passa, non è una particella che passa, ma solo una spiegazione.

GM: Non dovrei pensare a questa particella come un’entità che si sposta attraverso il vuoto ?

BH: No, hai pensato all’entità come a una palla da biliardo. Le sue proprietà non sono indipendenti dal processo sottostante.
Se cambi il processo sottostante, cambiano le proprietà di questa cosa. Non si possono trattare come cose separate, perché le sue proprietà dipendono dall’ambiente. Stai tirando fuori oggetti da cose che si trasformano continuamente, ma sempre in se stesse.
Ci vuole un po’ di tempo per abituarsi !

GM: In un certo senso, creiamo quella particella ?

BH: Questa è una domanda molto interessante. Creiamo ciò che vediamo ? Forse sì. So che la gente dice: “Beh, è tutto soggettivo”. Ma ci sono solo alcune cose che puoi fare. Non è possibile fare magie, ma solo riordinare le cose. È possibile riorganizzare le cose quando si sta costruendo la realtà. Stiamo riorganizzando i processi. Noi siamo parte del processo.
La versione originale di questo articolo è apparsa su scentificamerican.com il 4 novembre 2012 – Tratto da: lescienze.it

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Onde e fotoni, la prima istantanea della doppia natura della luce – 02 marzo 2015

 Osservando con un microscopio elettronico l’interazione tra radiazione elettromagnetica in un nanocavo e un fascio di elettroni, un esperimento ha documentato per la prima volta contemporaneamente la doppia natura ondulatoria e corpuscolare della luce(red)

La luce è un’onda elettromagnetica secondo la teoria classica elaborata da James Clerck Maxwell alla fine dell’Ottocento. Ma si comporta anche come un flusso di corpuscoli, i quanti di luce o fotoni, come ipotizzato per la prima volta da Albert Einstein nel 1905, per spiegare l’effetto fotoelettrico.
Un nuovo studio condotto presso il Politecnico di Losanna da Fabrizio Carbone e colleghi e pubblicato sulla rivista Nature Communications dimostra per la prima volta che le due nature della luce, quella corpuscolare e quella ondulatoria, possono essere rilevate contemporaneamente nello stesso sistema fisico. Finora infatti si riteneva che la luce si comportasse come un’onda o come una particella a seconda del tipo di esperimento che si stesse conducendo.

Onde e fotoni, la prima istantanea della doppia natura della luce
Una delle immagini al microscopio elettronico della luce confinata sul nanocavo mostra sia il fenomeno dell’interferenza, tipico delle onde, sia la quantizzazione dell’energia, che documenta la natura corpuscolare della luce stessa.
Una delle immagini al microscopio elettronico della luce confinata sul nanocavo mostra sia il fenomeno dell’interferenza, tipico delle onde, sia la quantizzazione dell’energia, che documenta la natura corpuscolare della luce stessa.
Nel caso di Carbone e colleghi, il sistema fisico è costituito da un cavo metallico di dimensioni nanoscopiche, che viene colpito da un impulso laser. Per effetto dell’energia comunicata dal laser alle particelle cariche che lo compongono, il nanocavo si mette a vibrare. Inoltre, la luce si propaga lungo il cavo, ma solo in due possibili direzioni tra loro opposte.
Quando le onde che viaggiano in due direzioni opposte si sommano, si verifica una particolare interferenza che produce un’onda stazionaria. Questa onda non si propaga più nello spazio ma in ciascun punto oscilla solo rispetto al tempo (lo stesso fenomeno, per analogia, si può produrre con una corda fissata ai due estremi percorsa da due onde della stessa frequenza tra loro contrarie). Nel caso di Carbone e colleghi, in particolare, l’onda stazionaria così ottenuta era diventata una sorgente di luce per l’esperimento, irradiando attorno al nanocavo.
I ricercatori hanno poi indirizzato un fascio di elettroni in un punto in prossimità del nanocavo: in questo modo gli elettroni interagivano con la luce stazionaria in esso confinata, rallentando o accelerando. Osservato poi con un microscopio elettronico ultraveloce il punto in cui si producevano queste variazioni di velocità degli elettroni, Carbone e colleghi sono riusciti a visualizzare l’onda stazionaria come una sorta di impronta, documentando così la natura ondulatoria della luce.
I cambiamenti di velocità degli elettroni, d’altra parte, erano quantizzati: avvenivano cioè non in modo continuo, ma per salti discreti. Questo è chiaramente l’effetto dello scambio di “pacchetti” di energia tra i quanti di luce, i fotoni, e gli elettroni, e documenta che la luce stazionaria ha una natura corpuscolare.
“Questo esperimento dimostra per la prima volta che siamo in grado di filmare direttamente la meccanica quantistica e la sua natura paradossale”, ha spiegato Carbone. “Si tratta di un progresso nel controllo dei fenomeni quantistici alle scale nanoscopiche che potrebbe risultare molto utile, per esempio, nel calcolo quantistico”.
Tratto da: lescienze.it

Meccanica Quantistica
Un esperimento dell’università di Vienna riproduce il fenomeno della sovrapposizione quantistica su una scala ben superiore a quella di elettroni o fotoni: una grande molecola sintetizzata ad hoc – 09/10/2019
Una particella che appare in due posti contemporaneamente: è la sovrapposizione quantistica, una delle tante stranezze della fisica subatomica. Sapevamo che qualcosa del genere può succedere per gli elettroni, i protoni, i fotoni, e persino per gli atomi.
Ed ora grazie ai ricercatori dell’università di Vienna e dell’università di Basilea, sappiamo che può accadere anche su scala molto maggiore. Nello studio, pubblicato sulle pagine di Nature Physics, sono infatti riusciti a osservare una sovrapposizione quantistica utilizzando molecole composte da ben duemila atomi.
A livello teorico, a dirla tutta, non si tratta poi di una grande novità. La sovrapposizione, infatti, nasce dalla doppia natura delle particelle: al contempo corpuscoli, cioè di porzioni finite di materia, e onde. E se i corpi di norma possono occupare una sola porzione di spazio alla volta, le onde possono occuparne una molteplicità contemporaneamente (fenomeno con cui cerchiamo di concepire il famigerato computer quantistico). Normalmente gli effetti di questa duplice natura si osservano nel mondo delle particelle, dove la massa è infinitesima e le lunghezze d’onda più lunghe. Ma i fisici sanno da tempo che il principio vale anche per corpi di dimensioni maggiori: batteri, esseri umani, stelle e pianeti. Semplicemente, osservare la sovrapposizione in questi casi è estremamente, ma estremamente, complicato.

Lo studio ha utilizzato un impianto sperimentale molto simile a quello dei primi test con cui è stata dimostrata l’esistenza della sovrapposizione quantistica. Ma al posto degli elettroni utilizzati all’epoca, i ricercatori hanno scelto molecole che hanno dimensioni ben 25mila volte superiori a quelle di un atomo di idrogeno. Nello studio originale, gli elettroni venivano sparati contro una barriera a due fessure per osservare il risultato. Se la loro natura fosse stata unicamente quella di corpuscoli, sullo schermo posto dietro alla dietro si sarebbero infatti osservate due strisce in corrispondenza delle fessure. Quel che si osservava, invece, era un complesso spettro di interferenza: il risultato che ci si aspetterebbe nel caso di due onde, che in certi punti si sommano e in altri si annullano.

Osservare lo stesso effetto per oggetti più grandi però è difficilissimo, perché più aumentano le dimensioni, più le lunghezze d’onda diminuiscono e i pattern di interferenza diventano difficili da captare: per le molecole usate, con i loro duemila atomi, la lunghezza d’onda risultante è inferiore al diametro di un singolo atomo di idrogeno.
Qui è entrato in gioco il team di ricercatori di Basilea, che ha sintetizzato con tecniche speciali la molecola affinché fosse abbastanza grande ma anche abbastanza stabile per poterne sparare un fascio lungo due metri con un interferometro.
Aumentando di fatto le probabilità di riuscire a osservare un pattern di interferenza. E in effetti, quando il fascio di molecole è stato sparato contro una serie di fogli a fessure ne è risultata un’interferenza osservabile per  7 millisecondi. Simile in tutto e per tutto a quella che si vede nel caso di piccole particelle. E per questo, i ricercatori hanno concluso che non potesse trattarsi di altro che di una sovrapposizione quantistica.

“Il nostro esperimento”, racconta Yaakov Fein che ha guidato il gruppo, “mostra che la meccanica quantistica, con tutta la sua stranezza, è anche altrettanto e sorprendentemente solida. Sono ottimista, credo che futuri esperimenti ripeteranno quanto abbiamo fatto su scale ancora più grandi”.
Tratto da:
https://www.wired.it/scienza/lab/2019/10/09/meccanica-sovrapposizione-quantistica-atomi/

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dr. Jean Paul Vanoli, esperto per la Vera scienza, conoscenza, filosofo della vita eterna, esperto in Medicine Naturali, Scienza della Nutrizione, Bioelettronica e Naturopatia. - Consulente di: https://mednat.news - curriculum.htm -  info@mednat.news + https://pattoverascienza.com   - Curatore, Tutore, Notaio, Trustee del Trust°/Stato Persona, estero: VANOLI GIOVANNI PAOLO (VANOLI G.P. - VGP) - Human Rights Defender ONU/A/RES/53/144 1999 - Difensore dei Diritti dei batteri e virus/esosomi, cioè della Vita/Natura in genere